13/10/16

GOAT - REQUIEM

- Frequenze Indipendenti -
 

In un epoca esasperata dal contenuto, dalla saturazione e dalla sovraesposizione continua, è raro trovare artisti che preferiscono aggirarsi nell’ombra, lontano dall’occhio di bue.
Thomas Pynchon, ad esempio, è forse il piu famoso tra gli autoreclusi: un uomo oramai senza un volto, che di tanto in tanto se ne esce con un romanzo ricco di storia, quanto deformato di fantasia.

Per i Goat vale lo stesso discorso.
Possono tranquillamente qualificarsi come il più grande mistero moderno in chiave pop-culture.

Chi sono questi musicisti mascherati?
Sono veramente membri della comunità artica di Korpilombolo?
La loro musica è retaggio di un patrimonio culturale così isolato?
O un gioco a buon mercato di appropriazione culturale? 
E' quasi impossibile individuare le esatte origini del suono di un gruppo tanto sfuggente.

E  come se non bastasse, Requiem, il terzo album in studio, offre ancora più domande che risposte. 

Proprio come il compagno recluso Pynchon,  la forza dei Goat sta nel creare un mondo dove il confine tra verità e finzione è talmente fosco che tutto quello che puoi fare è crogiolarsi nella loro genio criptico.

Requiem in definitiva ha un accento piuttosto folk, permeato com'è di un ritualismo bucolico inedito, pur senza rinunziare ad evocare le afose pulsazioni pagane che ci hanno irretito nei loro album precedenti. 
E forse l'aspetto più sconcertante ci attende in chiusura, con l'ultimo brano brano "Ubuntu".
La canzone è poco più di una linea di piano elettrico, fino al ritornello, una reprise di "Diarabi", brano presente sul loro primo album.
Qui si crea una sorta ciclo infinito di riflessione e di ringiovanimento, morte e rinascita.

Nessun commento:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...