01/10/09

ZOOT WOMAN - THINGS ARE WHAT THEY USED TO BE

- Frequenze Review -

ZWR (2009)
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"Le cose sono come solevano essere", potrebbe sembrare il refrain di un pò tutto il movimento musicale (a parte qualche rara eccezione) da diversi anni a questa parte. Musica che trova sè stessa nel costante riprendere qualcosa di già vissuto, già accaduto, già finito. Il bello di Stuart Price è che te lo dice senza falsa timidezza e senza alcuna ipocrisia. Gli Zoot Woman nacquero per una innata passione verso un certo tipo di pop oscuro con forti tendenze wave, che passava da Depeche Mode a New Order e Pet Shop Boys a pagare un tributo necessario e mai nascosto nè nella forma, nè nell'intenzione. Questo affascinante aspetto non è solo un punto di partenza, ma anche un punto di arrivo stilistico ben difficile da ottenere: dopotutto parliamo di pop sintetico di classe sopraffina. Eppure il peso artistico degli Zoot Woman può valere tanta classe.
Proprio per questo inizialmente ho ascoltato "Things are what They Used to Be" con un piglio critico forse troppo accentuato. Un riflesso spontaneo, qualcosa che va fortemente a compensare la stima che nutro nei confronti di Price sia come produttore (Madonna, Seal, e altri mostri) sia come remixer (Les Rythmes Digitales, Pour Homme, Jacques Lu Cont, Thin White Duke, Man With Guitar). Così ho preferito ri-assaggiarlo a dosi più brevi, in modo da stemperare ogni mio disagio.
Una cosa alla fine posso dirla: chi è alla ricerca di complessità rimarrà deluso. Infatti, è questo un disco piuttosto semplice e lineare dove l'essenziale si esprime proprio nella sezione ritmica (cassa davanti a tutto, seguita da giri di basso martellanti) e da un apparato lirico tutt'altro che incomprensibile.
Nessun viaggio astrale, nessuna sperimentazione. Solo una maniacale cura dei dettagli, una cosa che Price ha potuto testare e perfezionare nell'arco di questi anni proprio grazie a produzioni sotto ogni tipo di pseudonimo. Il gioiellino brilla parecchio in diversi momenti (Memory, Lonely By Your Side, We Won't Break, per esempio) mentre in altri paga un pò l'arrampicata verso la pista da ballo a tutti i costi. Non che non ne sia capace, anzi. E' solo che le confezioni da 3/4 minuti, di cui è pieno, vanno un pò strette alla cultura da club, che gradisce stesure più lunghe e specificatamente approfondite (per soddisfare questa esigenza bisognerà probabilmente aspettare le uscite in 12"). Detto questo, l'impressione è che i brani stessi siano stati concepiti per essere molto più lunghi e siano stati ri/adattati/editati ad hoc.
Ciò che, in generale, fa pendere la bilancia verso il segno più è un'altra cosa: la voce di Johnny Blake. Una sorta di Black dei giorni nostri. Un immenso regno di vulnerabilità ed ozio, vana speranza e rassegnata malinconia, tutto in un'unica voce, un segno distintivo forte e distante, vero appiglio stilistico degli Zoot.
Sarebbe interessante poter ascoltare una versione acustica (date un occhio qua per esempio) di "Things are what They Used to Be", magari curata ed adeguata proprio da Stuart Price. Chissà.
"Zoot Woman are what they used to be" è la frase con cui avrei voluto terminare questo scritto, ma non sarebbe stata pienamente veritiera ed appagante. La realtà è che siamo davanti ad un gruppo che, pur ruotando attorno a certe costellazioni, segue un forte senso di sè. La ricerca costante verso un dancefloor intelligente e maturo è una sfida che si possono permettere in pochi, quindi, infine, è giusto esserne coscienti e goderne senza tanti patemi.


3 commenti:

Anonimo ha detto...

Zoot Woman e Cut Copy sono ciò che di migliore possono offrire le piste da ballo in questi giorni così poco accoglienti!

aleFranch*n* ha detto...

Sono daccordo con te
per quel che riguarda l'elettro pop non vi è alcun dubbio.

Anonimo ha detto...

Wow!Non sapevo ne avessero fatto uno nuovo!Ormai non ci speravo!GRAZIE!

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