17/03/08

THE CURE Live@MILANO Palasharp

- 02 Marzo 2008 - Frequenze Live Report -


Ore 15.30, Palasharp, i bus scaricano orde di persone incessantemente, tutti qui per lo stesso motivo: trent’anni di storia del rock.

Con mio piacere noto che la patetica sfilata dei sosia di Robert Smith è ridotta all’osso, si vedono solo volti rilassati, maturi e soprattutto composti. (Finalmente giustizia è fatta, il circo è passato di moda). Dopo tre ore di attesa i cancelli si aprono e corro senza voltarmi un secondo, ci sono: la transenna centralissima è mia.
Poco tempo per realizzare dove mi trovo e gli Inglesi 65daysofstatic compaiono sul palco. Il loro suono è poderoso, caldo, strumentale, tutte armonie perfette e progressive, chitarre come rasoi e percussioni come locomotive. Peccato che il contesto e la fin troppa serietà del pubblico fedelissimo ai Cure riduca la loro performance ad una pallida comparsa per ingannare il tempo. La loro esibizione mi rapisce piacevolmente anche se l’attesa per gli head-liner deconcentra anche me ogni secondo di più.
Il cambio palco è dei più brevi: scenografia quasi nulla, le quattro postazioni scarne come in una sala prove e come sottofondo niente musica, solo ed esclusivamente un random di canti di delfini a tratti sparati a frequenze quasi fastidiose.
Si abbassano le luci e Jason Cooper appare come uno spettro dietro la batteria, il sempre giovane Simon Gallup posiziona il suo basso ad altezza ginocchia, lo segue il Nosferatu di corte Porl Thompson, quest’ultimo è sicuramente il più atteso ritorno in famiglia Cure, probabilmente il chitarrista più importante della carriera della stessa band.
Bene, basta così? Le tastiere? No no! Questa volta niente tappeti di tastiere, niente organi sintetici o da chiesa, niente di tutto ciò; sono passati trent’anni e si torna alle origini.
Ecco chi manca, in una forma (non certo fisica) splendida ecco Robert Smith: grintoso, emozionante ed emozionato, all'altezza della sua fama e non certo sfatto come nei racconti dei più invidiosi maligni.Ecco i Cure ed ecco le note di Plainsong e “Prayers For Rain”. Lo show inizia così, con due cavalli di battaglia datati 1989, il pubblico è quasi incredulo, Robert Smith sorride, è solare, suona quello che chiamavamo dark e lo fa in maniera ruvida e allo stesso tempo dolce come mai nessuno se lo sarebbe aspettato. Non c’è nulla di cupo come se la band fosse lì a dire: “Eccoci, siamo esseri umani, chi credevate che fossimo, i principi delle tenebre?”
Devo ammetterlo: la totale assenza di tastiere, fiati e violini ha lasciato un po’ di stucco anche me nonostante fossi preparato psicologicamente a questo annunciato cambiamento da stage.
Ciò non importa, questi sono i veri Cure che stanno prendendo per mano un intero palazzetto per accompagnarlo in una storia a ritroso tra i ricordi, una lunga storia che durerà più di tre ore.
La cosa più bella è stata rendersi subito conto di non essere ad un rischiosissimo concerto-celebrazione, quello che avevo davanti era musica suonata nella maniera più semplice possibile, scarna come lo era agli inizi, come appena concepita, proposta come non l’avevo mai sentita.
Sapevo di vedere una band che non ha più nulla da dimostrare, pure loro lo sapevano e sono stati capaci di raccontarsi in totale libertà, serenamente, amichevolmente.
Dopo un prologo nel nome delle origini i Cure provvedono a scaldare gli animi di tutti con qualche brano dagli album dal 2000 al 2004 per ripiombare nel passato del 1989 con “Lovesong” e “Pictures Of You”.
Lo si era già capito, stavo assistendo al concerto perfetto, ero pronto ad esser preso a schiaffi di gioia da brani inaspettati e storici che mai avrei creduto di risentire dal vivo.
La conferma: affiorano lente le prime note di “Lullaby”, il pubblico e lo stesso Smith si sciolgono e nel giro di qualche minuto saltiamo al pop di “Wish”. Nessuna emozione regge il confronto quando esplode la leggendaria “Just Like Heaven” e così via con “the Kiss” e “Never Enough”.
Si rimbalza da un’epoca all’altra e “The Head On The Door” a sorpresa è l'album più saccheggiato della serata.
Pausa: mi basterebbe già così ma il primo bis non mi da assolutamente ragione. Comincia la discesa agli inferi per rendere omaggio ai capolavori “Pornography” e “Seventeen Seconds”.
L’angoscia rapisce in un silenzio tombale tutto il Palasharp durante l’esecuzione di “One Hundred Years” accompagnata da proiezioni di guerriglia, schiavitù, olocausto e morte.
Non a caso seguono i brani “Disintegration”, “At Night” e “M”, si rimane senza parole e l’atmosfera si fa ancor più seria fino all’inevitabile apice di “A Forest” che frantuma letteralmente il pubblico con circa dieci minuti di esecuzione ferrosa e gelida.
Gli applausi si sprecano e i Cure se ne vanno, danno qualche minuto al pubblico per tornare in se stessi e ci risiamo, eccoli di nuovo pronti a sparare una raffica di pop da “The Love cats” a “Friday I’m In Love” fino a “In Between Days” e la leggendaria “Close To Me”.
Anche in questo frangente rimango stranito dall’assenza di fiati e tastiere, alcune parti se le deve canticchiare il pubblico ma non importa, la chitarra di Smith suona colma di effetti e gli assoli di Thompson non sono secondi a nessuno.
Tutto fila liscio, sono già passate tre ore ma non è finita qui, i quattro escono per qualche istante e tornano sorridenti sul palco per omaggiare il loro primo album-studio.
La ruvidità del suono prende le sembianze di un concerto tra i Beatles e il più sfrenato rock’n’roll, Con un colpo di frusta i Cure attaccano il pubblico con tre perle soltanto, ma di valore inestimabile: “Boys Don’t Cry”, “10:15 Saturday Night” e una “Killing An Arab” che così dura e veloce non lo era neppure quando fu incisa.
La lezione di storia è finita e non ci sono davvero parole per descrivere il significato delle trentasei canzoni appena ascoltate.
Una cosa è certa, non si passano trent’anni sulle scene per puro caso. Che notte ! ... “Say goodbye on a night like this, if it’s the last thing we ever do…."

Toffolomuzik
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2 commenti:

Anonimo ha detto...

Really a Strange Night.

It's been great!!

L.H.

Anonimo ha detto...

Non sono stata abbastanza veloce per riuscire a trovare un biglietto per vederLi a Milano e così, per inseguire il mio sogno, sono andata in Polonia, a Katowice, e là, allo Spodek, il mondo si è capovolto!
Oltre ogni aspettativa il concerto, e una voce dal vivo che mai avrei immaginato!
Che dire se non che dopo un mese esatto dal loro concerto Li sento ancora cantare dentro di me?

Terry

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