Spesso il cinema ha saputo fotografare le qualità di un'epoca e le ha consegnate ai posteri meglio di qualunque altra forma d'arte. Raramente però è riuscito a farlo in maniera così trasversale e realistica come Michelangelo Antonioni che a 94 anni si è spento ieri sera, appena ventiquattro ore dopo la morte di un'altro grandissimo regista: Ingmar Bergman.
Di Antonioni non possiamo non citare capolavori come Zabriskie Point con la chitarra di Jerry Garcia e le urla di Rogers Waters a segnare il film e la psicadelica colonna sonora o "Professione:Reporter" con un giovane Jack Nicholson ad inerpretare un reporter in viaggio fra l'Africa e la Barcellona di Gaudì, ma preferiamo ricordarlo e omaggiarlo con un'altra opera: BLOW UP.
In una delle sue frasi più celebri Antonioni dichiarava: "Penso che gli uomini di cinema debbano sempre essere legati, come ispirazione al loro tempo. Non tanto per esprimerlo nei suoi eventi più crudi e più tragici, quanto per raccoglierne le risonanze dentro di se". Da questo punto di vista Blow up è un documento essenziale per comprendere tante sfumature spesso sottovalutate di quella Swinging London di metà anni '60 che Antonioni si limita a descrivere, tramite gli occhi distaccati di un fotografo. In tutto questo la colonna sonora assume un ruolo determinante, che va ben al di là del semplice commento alle scene, e la scelta di Herbie Hancock non fu per nulla casuale. Il musicista infatti, che già era parte integrante del celebre quintetto di Miles Davis (con Ron Carter al contrabbasso, Tony Williams alla batteria e Wayne Shorter al sax tenore), avrebbe partecipato di lì a poco alla rivoluzione del jazz-rock, e quindi all'inizio della grande stagione di contaminazione dei linguaggi, l'era moderna per intenderci. Le musiche di Hancock sono uno dei primi esperimenti - non dimentichiamoci che era il 1966 - di "funky-beat-jazz" psichedelico. Del resto anche Antonioni era un grande contaminatore, capace di far coesistere nello stesso film stili cinematografici diversissimi (dal documentario, al giallo, al racconto onirico-psichedelico), con l'attitudine che lo ha reso uno dei registi più moderni di questi ultimi cinquant'anni. Le sue trame sembrano tendere a una successione di eventi apparentemente casuali, senza sbocchi. In questo caso il culmine è la celebre scena dell'esibizione degli Yardbirds, con un Jimmy Page giovanissimo e un Jeff Beck incazzato nero che sfascia la chitarra e la getta al pubblico. Il brano suonato dagli Yardbirds è "Stroll On" (una versione rielaborata di "Train Kept A-Rollin" di Myron "tiny" Bradshaw), uno dei più dirompenti e seminali di quegli anni, che contiene tutti i germi del punk, con almeno dieci anni di anticipo. Già solo per il valore storico (sono rarissimi altri filmati degli Yardbirds) questi tre minuti e mezzo assumono un tono quasi epico, mostrando senza mezza misure uno spaccato della vita nei club londinesi dell'epoca (in qualche maniera la club culture nasce in quel momento), e soprattutto evidenziando la violenza della musica garage. Sarebbe bastata questa sequenza ad Antonioni per regalare ai posteri uno dei documenti più significativi e pregnanti di un importante momento storico, descrivendo semplicemente dei fatti, senza falsa retorica.
Con questa scena rendiamo il nostro personale omaggio al maestro.
2 commenti:
Sono commosso - gran bel post.
Nella mia vecchia stanza (beata gioventù) ho il poster con Jeff Beck che spacca la chitarra in Blow Up, pagato 12 sterline nell'84 a londra
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