Aprile 2010. Una fra le meno studiate copertine del secolo, accompagna Paul Weller, cinquantadue anni suonati, nel primo giro completo attorno alla sua arte. Dal punk-mod dei Jam al soul pop intellettuale degli Style Council fino ad una serie di esperienze creative soliste: dall'acid jazz, al blues, alla psichedelia e a qualsiasi altra cosa abbia "soul" come centro di gravità permanente.
Un personaggio che, anche ai periodi di simil-crisi creativa, ha reagito con la spinta più tipica e onesta dell'essere umano: trovare risposte in ciò che si ama.
"Wake Up the Nation" è il riassunto dei suoi amori musicali e delle varie fasi della sua vita. Anche le collaborazioni aiutano a comprendere: Bev Bevan (Move - E.L.O.), Kevin Shields (My Bloody Valentine), Clem Cattini (Tornados) e soprattutto Bruce Foxton, suo compagno nei Jam.
I testi sono da leader populista. Weller dovrebbe buttarsi in politica, altrochè. La questione è che probabilmente sarebbe votato primo ministro nel giro di poco. Quindi, a conti fatti, con l'aria che tira, meglio rimanere musicista a tutti gi effetti.
Stringendo: aspettatevi il punto più alto del Weller degli ultimi dieci anni (per quanto mi riguarda meglio anche dell'ottimo 22 Dreams, che già spaccava). Non ci sono brani che girano a vuoto, come invece era spesso accaduto in passato. Anzi, in tutto questo, un minimo spazio è addirittura lasciato alla sperimentazione. Il cerchio si è chiuso. Siamo arrivati in cima alla montagna.
E adesso?! E adesso non si sa. Probabilmente i prossimi dischi saranno ancora meglio di questo e nel 2020 ci ritroveremo tutti ad adorarlo come semi-dio (sperando che cambi pettinatura).
O forse da oggi comincerà un lento e costante declino che lo porterà infine a fare concerti insieme ad Eric Clapton e altre vecchie glorie inglesi una volta ogni 3/4 anni.
Ma probabilmente ne parleremmo bene comunque, quindi ciò poco importa. Indossiamo una bella giacca e lasciamo i pensieri nel porta oggetti della lambretta. Fuori c'è il sole.
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